(ossia:
ghere nient de fa’ – non
avevo niente da fare)
Momenti
di cambiamento,
di
liberazione e divento
irrequieto,
con la smania
di
trovare soluzioni
nuove
che diano armonia
tra
il sentire interno e il fuori.
Così
cerco di portare
le
cose dove sfruttare
la
possibilità di esprimere
al
meglio le ispirazioni,
senza
per questo dovere
rischiare
eventuali infezioni.
Sì,
perché lo studio dove
di
solito lavoro, nove
su
dieci non riscalda,
anche
se termosifone
e
soffio d’aria calda
accendo
con attenzione.
E
allora studio spazi
‘ché
in cucina utilizzi
il
computer, per riuscire
a
trascrivere quanto scritto
di
mia mano all’imbrunire
o
la musica che ho intuito.
Per
non avere uscite
monetarie
inaudite,
proporrei
al fratello
di
rendermi ospite
suo
con l’elettro fardello
mio,
lì, vicino allo stipite.
Ma
è un iter senza fine,
la
mente è solo incline
a
fare confusione,
benché
sia il controllo
della
nuova situazione
che
vuole il mio cervello.
La
testa mi fa male
assai,
mi chiedo quale
possa
essere la cura
più
appropriata e penso
che
usare la scrittura
stemperi
il pensiero denso.
Così
è nato questo…
oh,
la rima!?… discosto
dallo
scrivere d’un getto
il
pensiero come passa
per
la mente… poemetto?
Non
granché, ma mi rilassa.
Dovrei
forse dormire
un
poco, e nelle spire
del
sonno, reclamato
a
gran voce dal mio
stesso
stato alterato,
dirgli
con coraggio: Addio!
Ora
sì, vado a letto
una
mezz’ora, e mi metto
lì
tranquillo per il tempo
necessario,
purché la mente
lasci
libero il campo
dai
pensieri… all’ist…ante…
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